Con oltre settantamila spettatori in poco più di tre mesi di repliche, Thè Full Monty è uno dei maggiori successi teatrali di questa stagione. Tra i protagonisti della divertente commedia diretta da Massimo Romeo Piparo in scena al Teatro Sistina di Roma fino all’8 marzo c’è Luca Ward. L’attore romano veste i panni di Aldo Parisi, ex responsabile in azienda di un gruppo di operai, tutti senza lavoro. Assieme ai suoi ex sottoposti, Parisi deciderà di improvvisarsi stripman per tornare a guardare con fiducia al futuro. Ward, che divide la scena con Paolo Conticini. Gianni Fantoni, Nicolas Vaporidis e Jonis Bascir, si racconta con la consueta schiettezza al nostro settimanale.
«La qualità paga sempre»
Il riscontro da parte del pubblico nei confronti di Full Monty è stato davvero incredibile in tutti questi mesi…
«Un risultato eccezionale e, per molti versi, inaspettato. almeno in queste proporzioni. Ci credevamo sin dall’inizio, ma eravamo consapevoli del fatto che il nostro spettacolo traeva ispirazione da un film datato e dì nicchia. In questo periodo in cui la gente giustamente è attenta alle spese, riempire un teatro anche da duemila posti come è successo a noi è un miracolo. È vero allora che la qualità di uno spettacolo paga sempre!».
Il momento più atteso, soprattutto dal pubblico femminile in sala, è naturalmente quello dello spogliarello finale.
Luca Ward Ti imbarazza tormentarti con lo strip?
«In realtà abbiamo discusso a lungo suH’opportimità di spogliarci integralmente. Poi, anche per evitare che lo spettacolo fosse vietato ai minori, abbiamo optato per uno studiato gioco di luci e per alcuni trucchi scenici che rappresentano il giusto escamotage per permetterci di svestirci. Full Monty è uno spettacolo adatto a tutta la famiglia, divertente e al tempo stesso istruttivo. Il tema della perdita del lavoro che è al centro del racconto è, ahinoi, di stringente attualità. Mi piace molto un passaggio del copione che recita: “Non pensare a quello che lo Stato o il sindacato può fare per te, ma a ciò che tu puoi fare per te stesso”. In poche parole riesce a concentrare un concetto importante: la capacità di reinvertarsi».
A te è mai capitato di doverti reinventare?
«Tante volte. Ho fatto mille mestieri: camionista, facchino di traslochi, bagnino. elettricista, fonico in teatro…».
Fa un certo effetto immaginarti alla guida di un tir…
«Un lavoro faticoso, ma divertente e all’epoca ben pagato. È stato proprio grazie a quel mestiere che ho conosciuto il mondo. Non dimenticherò mai la bellezza dell’Iraq in quel periodo, all’epoca avevo vent’anni. Pensare che quel Paese sia stato poi distrutto da noi occidentali mi addolora e mi indigna profondamente. Dopo l’esperienza come autotrasportatore ripresi a fare
Articolo tratto da Vero.
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