Al personaggio di Pinocchio è legato dal 2002, quando scelse di portare sul grande schermo la favola di Carlo Collodi, dirigendo un film e interpretando il burattino più amato di tutti i tempi.
Presto sarà anche a Sanremo
A sorpresa, Roberto Benigni adesso indossa i panni di Geppetto in una nuova pellicola su Pinocchio, questa volta diretta dal regista
Matteo Garrone. Ma non è certo l’unica novità professionale che in questi giorni sta facendo felici i suoi tanti fan, visto che, come da lui stesso confermato nel corso di una recente ospitata da Fabio Fazio nel programma Che tempo che fa, lo vedremo tra i protagonisti della prossima edizione del Festival di Sanremo condotta da Amadeus, che andrà in onda a febbraio su Raiuno. In attesa di vederlo all’opera sul prestigioso palco del Teatro Ariston, Vero ha incontrato il regista e comico alla presentazione romana
della sua nuova avventura cinematografica.
Roberto, nel 2002 hai diretto la tua versione di Pinocchio mentre in questi giorni ti stiamo vedendo sul grande schermo tra i protagonisti di un nuovo adattamento. Che cosa ti ha spinto à catapultarti nuovamente nella fiaba senza tempo di Carlo Collodi?
«Innanzitutto Pinocchio in sé, che ritengo sia un personaggio che va ben oltre la classicità. Questo burattino ci avvolge e prende tutta la nostra anima, perché oltre ai significati della storia, che fa presa sui bambini e sugli adulti, è come se uscisse dal libro per regalarci qualcosa che è capace di toccarci nel profondo».
Perché?
«Ci sono tutti i simbolismi, le metafore, le allegorie che lo rendono così speciale. Per non parlare poi del fatto che ci sono una marea di insegnamenti diretti e indiretti. In Pinocchio c’è spazio per tutti i colori e le emozioni del mondo. Per questo è così amato e so già che, se
me lo richiedessero, lo rifarei altre mille volte. Non a caso, ormai, in tanti scherzando mi dicono: “Ti manca solo la fata turchina”».
Roberto Benigni com’è stato farsi dirigere da un regista come Matteo Garrone?
«Far parte del cast del Pinocchio di Matteo Garrone è stato per me il compimento di un percorso, perché lui è uno dei più grandi registi di tutti i tempi. Anzi, farei anche la balena o il tonno, se me lo chiedesse (ride). Detto questo, sembrava di essere sul set di un film della fine degli anni Quaranta, Paisà. Matteo era sempre con l’orecchio teso, attento a qualsiasi cosa succedesse durante le riprese. Fa un cinema che sembra scritto, anzi dipinto, perché lui è come se fosse anche un pittore. Crea immagini straordinarie e allo stesso tempo è anche capace di raccontare. Insomma, il fatto che questo Pinocchio esca nelle salè a Natale è un regalo al mio cuore».
Com’è stato interpretare il ruolo di Geppetto, il falegname che riesce a dar vita al burattino Pinocchio?
«Ritengo che Geppetto sia il padre per eccellenza, un simbolo universale. E famoso come San Giuseppe, infatti Geppetto è il diminutivo di Giuseppetto. Sono due “Giuseppi” che fanno tutti e due i falegnami, con un figlio che ne combina di tutti i colori, che muore e poi risorge. E l’abbiamo costruito a poco a poco insieme, pensando anche ai grandi classici del cinema muto. Pinocchio è la fiaba più italiana che ci sia, la più conosciuta e amata nel mondo. Emerge quella povertà e quella dignità che è tipica del cinema classico, che ti fa sembrare la vita straordinaria e che, alla fine, si trasforma in vera ricchezza».
«È la versione più bella di sempre»
Secondo te come fa Pinocchio a essere una storia sempre così attuale?
«Devo dire che non ricordo l’ultimo film di Pinocchio che ho visto, ma questo di Garrone è il più bello in assoluto. Pinocchio è universale, appartiene a tutti, fa parte della nostra storia. Non l’abbiamo attualizzato: lo raccontiamo così come è sempre stato. Ci sono dentro tanti insegnamenti, ma anche segnali misteriosi. Leggere la sua storia ci aiuta a crescere e a migliorare come persone. E considerati i tempi che corrono, ognuno di noi ha bisogno di Pinocchio».
Articolo Tratto da Vero
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