Tutti già conoscevano il finale. Eppure, a commuoversi non è stato solo Francesco Totti. Il Paese del calcio ha pianto assieme a lui, tra chi è rimasto apparentemente impassibile nonostante i brividi lungo la schiena e chi semplicemente ha gridato il suo nome per tutta la durata di quel lungo (troppo, per qualche sparuto critico), infinito addio.
“Non chiamatemi più Er Pupone»
Dopo venticinque anni il capitano della Roma ha detto basta. Giallorosso da sempre, “Er Pupone” continuerà a esserlo ma senza più quella maglia addosso. Già, Er Pupone. In una vecchia intervista alla Gazzetta dello Sport Totti chiese pubblicamente di archiviare quel soprannome:
«Ho 21 anni, dai, ormai sono grande»
. Nel corso del tempo, però, la sensazione è che Totti abbia capito di non essere mai cresciuto veramente. Perché lui è stato l’ultimo baluardo del calcio visto con gli occhi di un bambino: il pallone vissuto come un gioco, a cui un bambino non è mai capace di dire basta.
«Speravo non arrivasse mai questo momento»:
lo ha detto chiaramente davanti ai 60 mila spettatori dell’Olimpico dopo l’ultima partita, la 786esima con la maglia della Roma, una volta impugnato il microfono. È come quando giochi in cortile e speri di non sentire mai il tuo nome, quello che pronuncia la mamma per dirti che è pronto a tavola. Il piccolo Francesco a giocare fino a tardi a Porta Metronia, dov’è nato, ci rimaneva davvero. Ma nessuno lo chiamava. Perché mamma Fiorella era a casa, certo, ma impegnata ad accudire i nonni che stavano molto male. Preferiva che suo figlio rimanesse fuori a giocare, piuttosto che assistere a tutto quel dolore.
Così non ha mai smesso di giocare, Francesco. Non lo ha fatto sotto casa, né alla Fortitudo Roma né allo Smit Trastevere, le prime due società dove ha iniziato a tirare calci all’età di 7 anni; e nemmeno alla Lodigiani, nel 1989, prima di passare alla… Lazio. No, nessun errore: pochi sanno che esisteva un accordo tra le due società romane per il suo passaggio in biancoceleste, finché Gildo Giannini, responsabile del settore giovanile giallorosso, con un blitz strappò il cartellino ai cugini.
Francesco Totti e Ilaty Blasi complici come due giovani sposini
Grazie a Totti il calcio è sempre stato un gioco. Come dimenticare il famoso rigore con “cucchiaio” agli Europei o le sue esultanze: dalla scritta
“Vi ho purgato ancora”,
diretta ai laziali, al selfie sotto la curva Sud in delirio. Anche nei periodi più difficili Totti ha sempre giocato proprio come avrebbe fatto un bambino. I1 suo segreto, forse, è stato proprio qui. E non solo in campo. In Tv ha doppiato i Simpson, ha recitato con Lino Banfi nel film L’allenatore nel pallone 2, in una vecchia pubblicità di una bibita gassata confondeva “limone” con “melone”. E poi le barzellette, raccolte in due libri il cui ricavato è stato devoluto in beneficenza, esattamente come il compenso ricevuto per la diretta del suo matrimonio con Ilary Blasi.
C’era anche lei l’altra settimana all’Olimpico, a dare conforto al marito mentre leggeva la lettera ai tifosi sotto gli occhi dei figli Cristian, Chanel e Isabel. Ilary e Francesco sono sposati dal 2005: dodici anni di matrimonio eppure sembrano due sposini, emozionati come il primo giorno anche nell’ultimo partita all’Olimpico. E tra gli applausi del pubblico, chissà, forse il capitano avrà rivissuto in un attimo tutta la sua carriera.
L’esordio a 16 anni:
“Scaldati, entri»
L’esordio con Vujadin Boskov a 16 anni nel 1993:
«Scaldati, entri subito». «Credevo ce l’avesse con un altro»,
rivelerà successivamente il bomber. La sua prima volta da titolare, due anni dopo, con Carletto Mazzone:
«Sai che non ti faccio più giocare al calcio? Nemmeno in C»,
gli disse il mister quando Totti non passò la palla a un compagno. Nel ’98 venne il turno di Zeman:
«Ci fai correre così tanto che l’anno prossimo ti gioco contro»,
disse Francesco al tecnico, che era uno dei pochi a poter scherzare con il boemo. Totti diventa in fretta il numero 10 della Roma, il capitano, con la benedizione del brasiliano Aldair che gli cede la fascia. Quattro anni dopo, nel 2001, finalmente è scudetto, celebrato all’ultima giornata con un gol al Parma, il più importante in assoluto della carriera oltre al rigore contro l’Australia ai Mondiali vinti in Germania con la Nazionale. Il resto è storia: le coppe e gli altri trofei vinti con la Roma, i record, i tifosi avversari che applaudono ogni suo gol segnato in trasferta, fino agli ultimi due anni, i più difficili, con l’allenatore Spalletti che lo lascia spesso in panchina.
Poco importa. Il mondo celebra Totti, l’ultima bandiera del calcio italiano. Roma gli dedica una piazza e un murales a Porta Metronia, La Spagna lo definisce “l’ultimo gladiatore”, anche il New York Times lo esalta mentre lui, prima di lasciare l’Olimpico, dopo 19 anni cede la sua fascia a Mattia, 11 anni, capitano dei Pulcini della Roma. È tempo di crescere per k’ormai ex Pupone.
tratto da Vero
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