Sì, vedere queste foto in bianco e nero dei miei avi, di un passato lontano, ma dentro di me, mi emoziona tanto… perché io, pur essendo nato e cresciuto in Venezuela, sono di origini italiane, esattamente di Venezia…».
Così, Guillermo Mariotto, lo stilista di Gattinoni, storico giurato di Ballando con le Stelle, pieno di verve e dai giudizi taglienti, racconta una pagina sconosciuta della sua vita. E lo fa commentando le immagini dal sapore antico di cui siamo venuti in possesso mossi da una curiosità: anche se si sapeva che Mariotto ha radici venezuelane, il suo cognome di “casa nostra”, il suo italiano sciolto e raffinato hanno sempre incuriosito un po’ tutti; e qualcuno ha cominciato anche a chiedersi:
ma Guillermo Mariotto che cosa c’entra con l’Italia?
La risposta è nelle foto che pubblichiamo in queste pagine, alcune delle quali risalgono agli inizi del Novecento e che, negli anni, raccontano una storia familiare, o per meglio dire una saga, che ha come protagonisti tutti i parenti di Mariotto. Incredibilmente molto rassomigliami a lui. dal bisnonno al nonno, fino al suo papà.
Una storia che parte da Venezia, dove il cognome Mariotto è ancora molto comune.
«Già», comincia a raccontare Guillermo.
«Il mio bisnonno Giuseppe Mariotto e la mia bisnonna Albonea Guglielmi, una nobildonna, facevano i commercianti e si muovevano tra le calli in gondola. Erano benestanti. Una testa calda era il loro figlio Gaetano, cioè mio nonno. Bellissimo, corteggiatissimo dalle donne, un bel giorno, durante un ballo organizzato da alcuni esponenti del fascismo, ebbe da ridire con uno di loro, al quale sferrò pure un pugno. Fu uno scandalo tremendo, tanto che il mio bisnonno, per evitargli l’arresto, gli diede dei soldi e gli disse: “Vai a Marsiglia, in Francia, e imbarcati sulla prima nave che ti porterà Oltreoceano”. Sa, all’epoca era normale per molti italiani andarsene in America per cercare fortuna. Per nonno era diverso, lui doveva proprio levare le tende.. .Nonno mi raccontò poi che, una volta nel porto, i marmai che smistavano le persone sui vari transatlantici gli chiesero: “Ma tu che cosa sai fare?”. E lui rispose: “Io so aggiustare le auto”».
Era appassionato di auto?
«Deve sapere che la mia famiglia è sempre stata piuttosto eccentrica. La zia di mio nonno, infatti, la zia Gina, fu una delle prime donne a correre con le automobili sportive in giro per l’Europa e mio nonno l’aveva sempre seguita, imparando ad armeggiale con i motori. Così, tornando a quel giorno al porto, i marinai gli dissero: “Vai in Venezuela perché là stanno arrivando le prime automobili e le famiglie ricche del luogo hanno bisogno di bravi meccanici”. Era il 1923».
Emigrando in Venezuela, suo nonno trovò lavoro subito?
«Scaltro come era, si mise a lavorare presso una delle famiglie più ricche della città di Valera. Il padrone di casa aveva bisogno di qualcuno che si occupasse della sua nuova auto fiammante e lo assunse. Ma nonno però si prese cura anche della figlia del padrone… che infatti sposò dopo pochi mesi perché lei aveva perso subito la testa per quell ‘italiano bellissimo che vagava nei suoi possedimenti e la faceva correre con l’automobile».
Era la sua nonna materna….
«Proprio così. Poi marito e moglie ebbero due figli: mia zia Albonea e mio padre Giuseppe Stefano Mariotto. Sì, mio nonno li volle chiamare come i suoi genitori. Per lui l’Italia era tutto. Non rinunciò mai alle tradizioni. A tavola, la polenta non doveva mai mancare la domenica, ha cresciuto i suoi figli insegnando loro l’italiano. Ma mio nonno aveva anche tante pecche».
Perché?
«Quando suo suocero perse la vita, dilapidò moltissimi beni di famiglia nel gioco, nelle donne… Si trasferì con moglie e figli a Caracas senza avere più il tenore di vita di prima e mio padre, che era molto sveglio, decise di studiare all’università e di diventare avvocato. All’università conobbe mia madre, una venezuelana di origine spagnolo-tedesca, che studiava Medicina. La sposò subito ed ebbero sei figli, io sono arrivato per secondo. Ma è con il mio nonno paterno, l’emigrante, che ho avuto un legame foltissimo. Anche se mia mamma lo detestava, proprio per il suo passato dissoluto, diciamo così, e poi perché correva diete tutte le gonne, eravamo legatissimi. Mi parlava sempre dell’Italia e io sono cresciuto con l’idea, seppure inconscia, che prima o poi sarei proprio venuto qui a vivere. E così è stato. Chiudendo idealmente un cerchio iniziato da mio nonno, quasi cento anni fa, dopo avere studiato all’università di Berkeley,
negli Stati Uniti, infatti, mi sono trasferito a Roma e non l’ho più lasciata».
In Italia ha tanti parenti Guillermo Mariotto?
«A Venezia no, però ne ho a Livorno e a Torino. E poi in giro per il mondo. In tutto ho ses-santaquattro cugini e chi vive in Italia spesso mi viene a trovare a Roma. In Venezuela è rimasta mia madre e due fratelli, mio papà è scomparso quindici anni fa. Gli altri miei fratelli vivono un po’ in tutta l’Europa, due fratelli, per dire, sono a Vienna».
Suo nonno sarebbe fiero di lei, non trova?
«Penso di sì, anche se lui avrebbe preferito che vivessi a Venezia. Quando, a venticinque anni, dopo il mio primo stage nella moda a Roma, tomai in Venezuela, lui, che era ancora vivo ed era veneto fino al midollo, si arrabbiò moltissimo con me perché avevo preso l’accento romano…».
Intervista a Guillermo Mariotto tratta da di Piu’
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